L’emicrania è una delle forme più comuni di mal di testa. Di solito, viene descritta da chi ne soffre come un dolore intenso di tipo pulsante, che tende a sorgere lentamente nella parte anteriore o su un lato della testa.
L’emicrania si manifesta con attacchi ricorrenti, che si presentano con una frequenza molto variabile: da pochi episodi in un anno a 2-3 crisi alla settimana. L’attacco emicranico può durare alcune ore o, nei casi più gravi, qualche giorno. Alcune persone presentano anche altri sintomi, come nausea e sensibilità alla luce.
Secondo uno studio condotto da ricercatori americani e australiani, esiste un legame tra l’emicrania e quarantaquattro varianti di DNA.
Se vuoi scoprire le ragioni del tuo mal di testa devi indagare il tuo Dna. La predisposizione alleemicranie in genere diminuisce durante la gravidanza.L’esatta eziologia e fisiopatologiadell’emicrania non è nota; tuttavia viene ritenuta spesso un disturbo di natura neurovascolare.La teoria più accettata è correlata alla maggior eccitabilità della corteccia cerebrale e a un controllo anormale dei neuroni del dolore nel nucleo trigeminale del tronco cerebrale.
Il ruolo del Dna – Il prossimo obiettivo dei ricercatori è quello di “individuare una particolare variante di Dna che sia più frequente nei casi di emicrania, in confronto con il gruppo di controllo”. Le varianti di Dna hanno effetto sui livelli di proteine ed enzimi legati all’espressione di un gene e, secondo Nyholt, una volta riconosciute le varianti specifiche dei disturbi di emicrania si potranno sviluppare farmaci per riequilibrare tali livelli e ridurre il rischio di attacchi.
Il prossimo obiettivo dei ricercatori sarà “individuare una particolare variante di Dna che sia più frequente nei casi di emicrania, in confronto con il gruppo di controllo”. La speranza è che la ricerca, unita a una maggiore consapevolezza su fattori ambientali come stress, mancanza di sonno o una dieta squilibrata, possa ridurre considerevolmente le probabilità di un attacco.
L’ulteriore scopo dello studio è anche quello di offrire ai pazienti una cura alternativa a quella con i triptani, che riescono ad essere efficaci soltanto nel 40 per cento dei casi. E non solo: lo cronicizza e aumenta la frequenza degli attacchi.